“Perché hai abbattuto la sua cinta e ogni viandante ne fa vendemmia?”

26 Ott , 2021

Primo incontro del Laboratorio Diocesano della Formazione

“Perché hai abbattuto la sua cinta e ogni viandante ne fa vendemmia?”
Il primo incontro del Laboratorio Diocesano della Formazione ha preso vita attraverso le parole del Salmo 80, nel quale si ritrova un salmista stordito di fronte alle sventure che si sono abbattute su Israele.
Perché un punto di partenza simile per un laboratorio che intende formare educatori di Azione Cattolica?
Per dare attenzione a quanto gli educatori, innanzitutto persone, hanno vissuto fino ad ora.
La cinta venuta a mancare intorno alla vigna è la stessa che ognuno ha visto crollare durante la pandemia, provando un senso di smarrimento e paura.
Ora, però, è tempo di ricostruire e, attraverso la cura e la bellezza, di divenire… Giardinieri di una Chiesa bellissima. Da dove cominciare?
La riflessione di Don Alessandro è incisiva, profonda: è necessario cominciare dall’atteggiamento del giardiniere, per evitare che l’impegno diventi fatica e che si viva il proprio servizio come una regola da rispettare, anziché come un amore a cui rispondere. È per questo che non si può parlare di compiti o ruoli, perché non ci sarebbe sinonimia con ciò che si fa esclusivamente per amore: il servizio educativo.
Lo spazio in cui ogni giardiniere svolge il suo servizio è il giardino, con la sua forte carica simbolica che va dall’Eden al Getsemani; il luogo, insomma, dove tutto ha inizio, fine e compimento e dove diventa inevitabile parlare di cura, un concetto che ritroviamo in tempi antecedenti al Cristianesimo.
Già Alcibiade si ritrovò dinnanzi a questa parola quando, manifestando a Socrate il suo desiderio di far politica, si sentì dire che sarebbe riuscito ad occuparsi e a prendersi cura degli altri solamente dopo essere riuscito a prendersi cura di se stesso. La cura: da concetto ad atteggiamento, perché la sfida sta proprio nell’educare gli altri a prendersi cura di sé.
E grazie all’etimologia greca ἐπιμελέομαι (epimeléomai) possiamo approfondire ancor di più la bellezza del prendersi cura, del preoccuparsi per l’altro.
La radice μελ (“mel”), infatti, la ritroviamo, in italiano, nella parola melodia.
E il prendersi cura non è forse un ritmo continuo e naturale, che risuona nella testa unicamente per piacere? Non è forse un cantare, al di fuori di qualsiasi obbligo?
È tutta qui la bellezza.
Dunque, viene naturale, dopo essersi chiesti cosa sia la cura, domandarsi anche cosa sia la bellezza.
Platone risponderebbe che è lo splendore della verità, quella che viene colta dall’intelligenza.
Intus legere, comprendere la realtà andando oltre tutto ciò che la razionalità non vede.
È solo con l’intelligenza che si può essere in grado di toccare la verità che sta nelle relazioni, perché non basta essere competenti: bisogna essere consapevoli e compassionevoli, fino a capire che il punto di partenza non è il dare, ma l’aver ricevuto.
Non si è educatori per dare, ma per la gratitudine che si ha verso ciò che si è ricevuto. In una prospettiva del genere, cade anche ogni logica razionale che può indurci a vedere il prendersi cura come un algoritmo, dove tutto ciò è estremamente prevedibile, perché parte di un sistema calcolato in precedenza.
Un educatore sa che bisogna mettere in conto la delusione, lo scoraggiamento, sempre contestualizzando tutto ciò in un’ottica in cui o si vince o si impara. Non ci sarà nessuna perdita, finché ci sarà un giardiniere in perseverante ascolto e in continuo confronto con l’associazione d’appartenenza, lasciando che si instauri il clima di fiducia necessario alla crescita propria e dell’altro.
È bello, allora, leggere il proprio servizio educativo come una vocazione consacrata a Dio, perché è proprio nelle parole della consacrazione che si ritrova ciò che deve tener presente colui che educa.
“Prese il pane, rese grazie, lo spezzò”: dopo l’aver ricevuto è il momento di dare, ma attraverso la responsabilità che si manifesta nella capacità di lasciar spezzare il proprio tempo. Perché il prendersi cura parte dalla gratitudine e ha come effetto la responsabilità, che, a sua volta, risiede nella discontinuità del proprio tempo, del proprio progetto.
Lasciamo che chiunque ritroveremo nelle nostre associazioni possa spezzare il nostro tempo e facciamo sì che, nel nostro cuore, risuoni la domanda che Dio rivolge ad Adamo all’inizio della Bibbia: «Dove sei?», perché dopo lo spezzare c’è il dare, ma senza conoscere dove si trova l’altro e cosa sta vivendo, difficilmente sapremo prendercene cura nel modo giusto.
Educhiamo con la certezza che, dove noi metteremo la Fede, Lui metterà la Grazia.
Grazie Don Alessandro per la Sua Spiritualità densa di Cultura.


Ylenia Solli